venerdì 2 ottobre 2009

gli autobus blindati per i clandestini di Milano

Domenica scorsa, di sera, alla libreria Calusca di Milano, era il 27 settembre, ho raccontato, con chitarra e voce, una Milano fatta di autobus come la '95, '90 e '91, pieni di gente di africa e di america latina, america latina e galeano, e vene aperte sotto banco, e clandestino mi sento nel fianco, come dice la canzone. L'altro ieri mattina, sulla prima pagina di Repubblica, la notizia delle applicazione della legge che considera reato la clandestinità, il non avere i documenti a posto! Gli autobus blindati e i vigili che hanno fatto un centinaio di multe e portato in questura circa 14 persone non europee e senza documenti di soggiorno. E' una notizia che fa ribollire il sangue nelle vene, ma nella normalità di cui parla la rivista Nonostante milano, una normalità che ci anestetizza, tutto ciò passa in cavalleria, fa parte della quotidianità accettata, subita, come scriveva Bianciardi in alcuni passi de La vita agra, testo utilizzato per costruire il monologo Milano chim'era, che è quello presentato alla libreria Calusca domenica scorsa. Un monologo che, per certi versi, son contento che sia attuale, che abbia colto degli elementi e degli aspetti tristemente reali: il sentirsi clandestino nel fianco (ma quando hos critto le parole di quella canzone non pensavo che le nostre città fossero arrivate a concepire gli autobus blindati per rinchiuderci i clandestini, come sta avvenendo a Milano!). Qual' è una via d'uscita possibile? Quella che io sto percorrendo, e che non propongo, ma voglio utilizzare come spunto di riflessione. A proposito di autobus, ma anche di treni, nel monologo si parla, di striscio, di uno che non paga il biglietto del treno e che si confronta con un suo amico psicologo e questi gli spiega che l'insistenza degli altoparlanti di trenitalia che ricordano il dover di pagare il biglietto, e di contro la rarità dei controlli effettivi, è paragonabile alle telecamere sempre più presenti nelle nostre città: il messagio che ci danno è: ti stiamo guardando, forse non ti vediamo mai, ma forse sempre! Io non pago il biglietto, quando posso, da diverso tempo, sia sui mezzi pubblici metropolitani che sui treni di Trenitalia. Nell'Ile de France, la regione di Parigi, c'è un coordinamento di gente che non paga i biglietti, ma anche a Bruxelles. Hanno pubblicato un pò di libri per raccontare queste esperienze, che parlano di collegamento e alleanza con le oppressioni di vario tipo: ferrovieri trattati come macchine, viaggiatori trattati come bestie! Una delle cose che si trova in un libro stampato dal coordinamento francese, è che pagare il biglietto del treno o dell'autobus urbano è una forma di ricatto sociale, non ha niente o quasi niente a che vedere con fattori economici. Infatti, in quel libretto, c'è scritto e spiegato, nei dettagli, che il biglietto incide al 12% delle entrate di un Azienda di trasporti ferroviari o metropolitani, gli introiti maggiori sono sostenuti dai Municipi (più per i trasporti urbani che per quelli ferroviari), dalle Regioni, dallo Stato, dalla pubblicità, dagli affitti dei negozi, edicole e ristoranti o grandi negozi....Qualcuno può pensare che è molto difficile sbloccare certi meccanismi, difendendosi con fattori legalisti o moralisticheggianti, ma in verità si tratta di liberarsi soprattutto mentalmente, e questo è davvero difficile, certo, per prima cosa bisogna far fuori i fattori legalisti e moralisti, e anche quello è un lavoraccio, ma quando uno si libera è tutta un'altra cosa, soprattutto se è una liberazione che coinvolge anche altri, non fine a se stessa, "altri" nel senso di consapevolezza, non è che bisogna tenersi per mano, anzi, bisogna liberarsi individualmente, coscienti del legame inscindibile che c'è tra ognuno di noi, soprattutto guardando verso il basso, dove ci sono quelli che pagano di più, e pagano anche perchè noi stiamo a guardare, anche perchè noi ci ostiniamo a difendere le nostre "paure", senza provare a smontarle...La liberazione è alla portata di tutti e di ciscuno, l'importante è cominciare, come c'è scritto in una pagine della Rivista Nonostante Milano, che Agro e Lauro, l'11 marzo, in Corso Buenos Aires, stavano leggendo, prima che Lauro fosse arrestato insieme agli altri 44 antifascisti...ma questo è il monolog, è letteratura, o forse no? Forse è un racconto-verità, che serve anche quello a sbloccare qualcosa, altrimenti rimane...loontano...e fionisce di essere racconto epico, cioè vero, di popolo che vuole insorgere, e diventa fiction...sterile, avulso, io non voglio che sia così, io non ho capito niente del teatro e della letteratura? Come non avevano capito niente Sciascia, Buttitta, Rosa Balistreri? O siamo noi ad avere capovolto i parametri, a esserci rinchiusi nella fiction e ad accettare l'incapacità di muovere le cose, noi qui e ora, a Milano, il 30 settembre 2009, lì, mentre i vigili controllano e rinchiudono i clandestini negli autobus blindati?

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