sabato 15 agosto 2009

dare un senso al viaggio come sradicamento continuo?

se il sonno accumulato e arretrato delle ultime tre notti me lo permetterebbe, io proveri a dare un senso al viaggio come sradicamento continuo, come rottura di tutte le abitudini...Una cosa é certa: io non sono fatto per viaggiare! Altrimenti non andrei nel pallone dopo due o tre notti all'adiaccio; non vivrei la dimensione negativa, o non la accentuerei come mi viene da fare, perché se racconto gli incontri di queste notti, é chiaro che verrebbe fuori la dimensione positiva e impagabile di queste nottate passate a chicchierare, ridere, dormicchiare, cantare, suonare la chitarra, con gente di Parigi, di Tours, dell'Inghilterra ecc. E poi sono vecchio, diciamocelo, certo, ho scritto un quaderno intero solo ieri, tra ieri mattina e sta mattina, ho riempito 95 pagine di quaderno...E questo non mi basta a dare un senso al viaggio, magari col senno di poi mi basterà, quando avro' recuperato le energie...La cosa che mi fa paura, e cioé mi da vertigine, é il fatto che mi abbandoni al ritmo del viaggio senza meta e senza programma, ma in verità un programma c'é, e anche rigido, solo che....non so come spiegarmi forse...E' come se fossi in vacanza perché ne sento il bisogno, ma al tempo stesso mi sento in colpa perché vorrei lavorare, ma il mio corpo lo sa, lo sente, e allora mi porta da un punto all'altro, per svuotarsi, certo, é pericoloso per certi versi, ma é un rituale, é un rito purificatore, di cui in parte non ho ancora preso coscienza né della sua importanza né della sua ritualità, appunto...A volte mi sembra una fuga fine a se stessa, infatti quando scrivo decine e decine di pagine, e disegno e faccio ritratti ad acquerello e a graffite, mentre viaggio, assaporo il senso del viaggio, sembra banale, ma soprattutto quando scrivo, e canto o suono la chitarra, assaporo il senso del viaggio, quel senso che rischio di perdere se viaggio sempre negli stessi posti con gli stessi motivi (fare ritratti per campare in Liguria, presentare il monologo al festival di Avignon e di Chalon), c'é un bisogno inespresso, enorme, almeno io lo sento, di perdere tutto, periodicamente, di tornare alle origini, per purificarmi, e a volte mi sembra strano, mi dico che sono troppo vecchio per fare certe cose, e vedo intorno a me, pero', tanti come me, che viaggiano cosi', magari sono pochi gli italiani, perché gli italiani non sono abituati a viaggiare, gli italiani emigrano, come diceva Paolo Conte, eppure io vivo tutto questo dramma, da italiano e da siciliano, lo sento dentro, é per certi versi penoso doverlo sentire cosi tanto presente, magari sono persone che ti sono vicine a riportarti tutto questo provincialismo, o sono io che ce l'ho dentro e lo sento esplodere quando qualcuno a me vicino mi fa notare l'esagerazione che a suo dire sta in certe forme di viaggio...

e penso a Margherite Yourcenaire, a quello che ha scritto nel libro Memorie di Adrianoe che io ho riportato nel mio carnet de voyage più completo che fino ad ora abbia realizzato, e penso anche al fatto che forse, uno degli elementi che segnalano l'immiserimento di un popolo, di quello italiano nella fattispecie, é la tendenza verso le derive irrazionali (credenze irazionali dogmattiche, che siano di natura paracattolica, come la papolatria e la padrepiolatria, ma anche tendenze orientaliste che bloccano le emozioni facendo finta di liberarle), da un lato, e dall'altro il rifiuto del viaggio, il disprezzo del viaggio come rottura di abitudini...Una volta, mi racconto' una mia amica, a un corso di interculturalità, uno psicologo consigliava ai partecipanti al corso, di andare in un paese di cui non si conosce la lingua e provare a rimanerci un giorno o due senza soldi....Per immedesimarsi nella condizione di straniero...Cioran scriveva: "Che nessuno cerchi di vivere se non ha fatto l'qpprendistato di vittima"; Io, a tutti quelli che mi riportano certi limiti e dogmi incoscienti, direi: "Come possiamo definirci viventi se non perdiamo le nsotre certezze? almeno una volta ogni tanto"...Ricordo che P., un mio compaesano, consigliava, a chi aveva paura di animaletti come topolini o insetti di campagna, di andare ad abitare da solo per una settimana in una casa di campagna, povera e sperduta possibilmente, e cosi avrebbe superato la paura....Io vorrei proporre un percorso: viaggiare senza biglietto e senza sapere dove dormire, di città in città, per almeno una settimana all'anno, in un paese europeo,....Non é una proposta questa, credo sia, anche se credo sia troppo tardi per dirlo, una base, un preliminare, un requisito di base per fare qualsiasi altra cose, per vivere, ma io sono troppo vecchio per dire e fare certe cose, troppo in colpa mi sento, troppa vertigine mi assale, troppo sonno arretrato, sono troppo italiano, io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono, cantava Gaber....un'ultima cosa volevo aggiungere: il viaggio solitario e senza punti di appoggio psicologici (una settimana all'anno almeno), é un'esperienza mistica e spirituale molto forte, una base e un antidoto a tante derive irrazionali occidentali e orientali sempre più dilaganti ai giorni di oggi...e un altro consiglio, a tutti quelli che credono che fare certi viaggi sia superato, adolescenziale, ecc.: "sentitevi umiliati e bisognosi di certi passaggi, e fatevi aiutare da chi vi puo' aiutare a intraprendere un cammino in tal senso, magari con certe letture, per esempio Opinioni di un clown, di H. Böll, é un buon libo che aiuta a capire certi passaggi che riguardano il senso dello sradicamento e della vita come arte strada ma più che altro come arte di...movimento, antonio capanno