sabato 19 novembre 2011

esperienza e povertà

Tratto da Experiece et pauvreté, di W.Benjamin, 1936

L’esperienza ha perso valore a partire dalla guerra del 1914-’18. L’esperienza comunicabile de bouche a oreil. Les gens sont de moins en moins capables de “prendre la parole” et de raconter une histoire devant une assemblée qui écoute. Con la premiere guerre mondiale s’acheve la possibilité et la capacité de comuniquer l’experiences. On devient plus pauvres en experiences comuniquables. Gli uomini tornano muti dalla guerra. Talmente è grande e profondo il trauma. Una nuova povertà si è abbattuta sugli uomini con l’estensione mostruosa della tecnica (vedi approfondimenti in: Ivan Illich; Gunter Anders et alii). E dall’altro lato di questa povertà, si sviluppa la ricchezza opprimente di idee che filtrano nelle persone – o piuttosto che si impossessano di loro – attraverso il risveglio dell’astrologia e della saggezza yoga, della christian science e della chiromanzia, del vegetarianismo e della gnosi, della scolastica e dello spiritismo.

Il cianciare di stili e visioni del mondo nel secolo scorso (1800 perché B. scrive negli anni ’30 del XX secolo) ci ha reso troppo evidente fino a che punto questo patrimonio può indurci quando l’esperienza è finta, non vissuta personalmente e fino in fondo o deprivata di senso se noi non riusciamo ad attribuire un valore al riconoscimento della nostra povertà. Tutto ciò ci conduce a una nuova forma di barbarie. Ma barbarie positiva. Ricominciare da capo, riuscire con poco, ricostruire con poco. Ci sono esempi tra i grandi creatori, spiriti implacabili che prima di tutto, fanno tabula rasa. Descartes (Cartesio), Einstein…Paul Klee. Cosa significa? Disillusione completa nei confronti della nostra epoca, ma anche rivendicazione senza riserve di essa, ecco cosa significa.Brecht diceva che “il comunismo non è la distribuzione della ricchezza, ma della povertà”.

Poi arrivamo anche a P. Scheerbart.

Povertà di esperienza in che senso?
Non pensiamo che gl uomini abbiano bisogno di una nuova esperienza. No, al contrario, devono liberarsi dell’esperienza. Esempi: gli anni ’70 in Italia, l’emigrazione italiana….Sono esperienze di cui ognuno di noi deve liberarsi ascoltando o raccontando quelle esperienze. Penso al monologo teatrale Italiani Cingali di Mario Perrotta o Fra pochi giorni è Natale di Antonio Carletti (strage di Piazza Fontana), o Il racconto del fiume rubato di Andrea Pierdicca e Federico Canibus (lotta popolare secolare contro l’ACNA di Cengio), ma anche ad altri racconti, il libro Tutti dicono Germania Germania di Stefano Vilardo, Milano Corea di Franco Allasia e Danilo M. Tutte le lotte popolari, le occupazioni delle case, le autoriduzioni degli anni ’70: non è nostalgia volerle ricordare e raccontare, è bisogno di liberarsi di quelle esperienze elaborandone il trauma attraverso il racconto vivo, vero, di narrazione teatrale, per restare in tema. Quell’esperienza è negata, repressa, fin quando non è raccontata.

Gli uomini aspirano a un ambiente nella quale possano valorizzare la loro povertà in modo puro ed esplicito – povertà esterna e interiore – in modo tale da far uscire qualcosa di importante.

(..)Non sono neanche sempre ignoranti o inesperti. Potremmo dire il contrario: hanno “divorato” tutto, la “cultura” e gli “uomini”, e ne sono rimasti stanchi e sfiniti.

Voi siete così stanchi – e questo soltanto perché non concentrate tutti i vostri pensieri su un livello molto semplice ma grandioso.

Un grande narratore affonderà sempre le radici nel tessuto popolare, e prima di tutto negli strati sociali formati da artigiani.

Per me questa cosa è commovente perché tutti e due i miei nonni erano artigiani, sarti per la precisione.
Questi brevi appunti presi a Bruxelles a fine ottobre dopo aver comprato il libro Experience et pauvreté di W. Benjamin, che contiene il breve saggio Le conteur, vogliono essere uno spunto di riflessione sul senso della narrazione orale e teatrale o teatro di narrazione. In italiano esiste Il narratore, saggio breve singolo pubblicato da Einaudi recentemente. Queste brevi riflessioni esplicitate a Genova il 17 novembre prima di iniziare il racconto Alla Maddalena (Casa Occupata via giustiniani) vorrebbero trovare altri fili di approfondimento tra Italia Francia e Belgio e Africa e altri paesi, chi più ne ha più ne metta. L’inizio di questa riflessione è dovuta alla scoperta del testo di Olivier Favier (traduttore di Celestini in francese) che ha scritto una sorta di “manifesto del théatre recit o di narrazione in Italia. Quel testo è in francese e sto pensando di tradurlo. Nel frattempo, visto che citava Marco Baliani che a sua volta si riferiva a W. Benjamin, e isto che c’era scritto che il sostrato a volte inconsapevole del teatro di narrazione italiano è costituito dal testo Le conteur di Benjamin, e io sono andato a comprarlo! Ed eccoci qua, a Pavia! Al Bar Sottovento, lu suli lu mari lu ientu! A.